Se tutti lo vogliamo, il nostro terreno può dare ancora buoni frutti.
Vorrei partire da lontano per raccontare questa storia, perché credo possa servire a capire dove siamo oggi e soprattutto dove stiamo andando.
Vorrei partire da una ricercatrice che aveva il sogno di portare in Parlamento la voce dei giovani di questo Paese che volevano veder riconosciuto il merito e fare carriera per le loro competenze, senza dover essere costretti a emigrare per aspirare a un lavoro dignitoso.
Quella ricercatrice voleva cambiare il mondo, e si riconobbe in una forza politica diversa da tutte le altre non solo per le battaglie che portava avanti, ma soprattutto per il modo diverso di fare politica. Era un movimento, e non un partito. Era una comunità di cittadini che insieme costruivano progetti, partendo dall’ascolto e dal confronto, e sceglievano i rappresentanti nelle Istituzioni in modo diretto, tra gli attivisti e i cittadini che con la loro storia avevano dimostrato di poter essere un valore aggiunto per la comunità. Non perché tutti avevano le stesse capacità ma perché un progetto, per essere veramente collettivo, deve accogliere tutti e permettergli di esprimere il proprio talento. E infatti gli eletti di questo Movimento si chiamavano “portavoce” proprio perché portavano in Parlamento la voce e le istanze dei cittadini, che erano la vera anima di questa forza politica.
Questo movimento, nel 2018, in occasione delle elezioni parlamentari, rivolse un appello alla “società civile” chiedendo a chi avesse il desiderio di mettere a servizio del Paese le proprie competenze di farsi avanti e candidarsi. E così quella ricercatrice, che non aveva mai pensato prima a un impegno diretto, e non conosceva nessuno il quel Movimento, si propose come candidata nel suo territorio.
Il percorso che l’ha portata, che mi ha portato nel cuore delle Istituzioni –perché quella ricercatrice sono io – è stato entusiasmante, perché era meraviglioso sentirsi parte di una comunità che lavorava insieme. C’era una piattaforma digitale con cui noi eletti ci confrontavamo con gli attivisti e i cittadini sui progetti da realizzare e sulle leggi da presentare. Era veramente un modo diverso di fare politica e di impegnarsi per il bene comune.
Quel Movimento, il mio, il nostro Movimento è stato una forza dirompente, un sogno condiviso da milioni di persone che volevano davvero cambiare il mondo e riportare la politica nelle mani dei cittadini, costruendo un futuro in cui trasparenza e partecipazione dal basso fossero le fondamenta di una casa comune.
Ad un certo punto, però, quella rivoluzione è sembrata quasi un peso, una zavorra di poco valore che ci impediva di essere come gli altri, non capendo che così si stava diventando la brutta copia degli altri. È cominciato, allora, il tempo della messa in discussione della storia del Movimento che, secondo molti, dopo aver meravigliosamente guidato il Paese nel momento difficilissimo della pandemia, doveva maturare e trasformarsi in un’altra cosa. E così, piano piano, quella forza collettiva, quel sogno condiviso, ha preso sempre più le sembianze di qualcosa di indefinito. Un ibrido tra il nuovo e il vecchio.
Io, invece, ho sempre creduto che questo nostro progetto dovesse restare uno spazio dove la democrazia diretta e partecipativa fosse reale e costante, dove gli attivisti potessero veramente contribuire alle scelte, dove chiunque potesse trovare ascolto e proporre le proprie idee. E sono convinta che i tentativi più o meno palesi di soffocare le voci di dissenso, di ridurle bassamente a meri calcoli personali, oltre ad essere estranei al nostro DNA, non ci facciano altro che male, condannandoci a una lenta, inesorabile e triste fine.
L’esempio più palese è la costituente che è in corso. Avevo molta fiducia in questo percorso di democrazia partecipativa perché io stessa da anni sono impegnata a costruire ponti di partecipazione dentro e fuori il Senato, e credevo davvero che questo confronto potesse ridarci slancio, energia. Credevo che potesse essere l’occasione per riavvicinare i tanti attivisti e i cittadini che in passato avevano condiviso con noi le piazza e i luoghi dove lo Stato era lontano o assente. E invece ben presto ho dovuto ridimensionare le mie aspettative perché si è scelto di ridurre la platea degli iscritti (ad oggi non sappiamo quanti iscritti al Movimento siano stati cancellati) e si è chiesto il silenzio non solo a chi era parte attiva del processo (i 300 o 250 sorteggiati) ma anche ai nostri attivisti che così hanno cominciato a bollare qualsiasi voce critica come eretica. Ma io mi chiedo: quale forza politica fa una costituente nel silenzio? Ma può bastare una raccolta online di proposte o qualche lezione tematica come una sorta di DAD della politica per rinnovare un progetto come il nostro? E lo spazio per ascoltare chi vive i territori quale sarebbe?
Anche nella politica bisogna essere veri, metterci il cuore, il sentimento, donarsi agli altri senza paura delle conseguenze. Non bastano gli algoritmi e non può bastare una discussione ben guidata tra pochi. Chi vive il Movimento sui territori sa bene cosa ci serve: più partecipazione, più radicamento, organi collegiali che sostituiscano il singolo coordinatore e spazi di ascolto e di discussione in cui ognuno si senta accolto. Non ci servono le strutture che ingessano e bloccano l’attivismo. Faccio un esempio: a Giugliano nel mio comune, c’è un gruppo territoriale con 100 iscritti bloccato da un anno per decisione dei coordinatori. In che modo questo può far bene al Movimento?
Pensare che la perdita del nostro consenso sia legata alla mancanza di politici di professione e al limite dei mandati è un errore madornale. Ridurre i nostri problemi e la disaffezione dei nostri elettori alla discussione secondo mandato sì secondo o no, o alla scelta tra Conte e Grillo significa essere miopi. Come se chi non riesce a mettere il piatto a tavola, oppure il giovane che non trova lavoro, o la donna sottopagata avesse bisogno di sapere se il portavoce tizio o caio si candida ancora, oppure se in casa Movimento 5 Stelle comanda Beppe o Giuseppe. Il disoccupato, il giovane laureato senza speranza, l’operaio sottopagato, il cittadino che non va più a votare hanno bisogno di vedere che c’è una forza politica che è diversa dalle altre perché non solo ha risposte concrete, ma dimostra con la sua storia di essere un progetto di tutti e non di uno solo.
Sul risultato di ieri in Liguria faccio poche considerazioni ma credo sia evidente che stiamo perdendo i nostri attivisti che se non si sentono coinvolti, partecipi, importanti, e vanno via. Ma soprattutto vanno via tanti elettori che oggi preferiscono non votare perché evidentemente non si sentono rappresentati da nessuna delle forze politiche esistenti. I livelli di astensionismo di ieri sono i più alti di sempre: più del 50%.
Inoltre vorrei capire perché da settimane stiamo masochisticamente calpestando la nostra storia, l’eredità di valori, di impegno, di battaglie che ci è stata lasciata da chi questa nostra meravigliosa creatura l’ha fondata. A chi giova la guerra tra Conte e Grillo? E quale è il risultato? Mille parole spese in televisione, cento titoli sui giornali e dieci miseri voti nelle urne.
E allora, fermiamoci. Se è stato fatto qualche errore, non è tardi per recuperare e per ripartire, con ancora maggiore forza e determinazione. Ci basta semplicemente restare noi stessi. Certo dobbiamo e vogliamo crescere, ma conservando la nostra identità e la nostra storia, di cui dobbiamo essere orgogliosi. Una storia racchiusa nelle nostre stelle, che nel frattempo da 5 sono diventate un firmamento. Una storia che ha camminato sulle gambe di donne e uomini coraggiosi che sono i nostri attivisti e i nostri portavoce di ieri e di oggi. Una storia che oggi cammina sulle gambe di tutti noi e della quale tutti dobbiamo essere estremamente orgogliosi, come lo sono io. Perché questo Paese ha ancora tanto bisogno di Movimento.
Sen.ce Mariolina Castellone