Senatrice Mariolina Castellone

Presentazione “Pane e acqua. Dal Senegal all’Italia passando per la Libia” di Ibrahima Lo

Uno dei regali più belli di questo tempo a servizio del Paese è quello di incontrare tanti giovani, confrontarmi con loro e provare a rispondere alle loro domande, per riavvicinarli ad una politica che sentono distante.

Anche stamattina, nella conferenza stampa di presentazione del libro “Pane e acqua. Dal Senegal all’Italia passando per la Libia” del mio amico Ibrahima Lo, ci siamo confrontati con i giovani presenti in sala su come affrontare il fenomeno migratorio e come raccontarlo.

Ibrahima nel suo libro, potente nella sua semplicità, racconta il suo viaggio attraverso l’Africa per inseguire quel miraggio di libertà e speranza chiamato Italia, ed Europa. La parte più struggente del racconto è quella della traversata del deserto, senza un goccio di acqua, e quella della permanenza e della detenzione nelle prigioni libiche. Prigioni in cui si perde ogni umanità, e dove i migranti vengono resi schiavi se non hanno famiglie disposte a pagare un riscatto per farli partire.
Il viaggio di Ibrahima è un’odissea ai limiti della sopportazione e tanti sono infatti coloro che non sopravvivono. Decine di migliaia di migranti sono morti in questi anni in mare, o nell’attraversamento del deserto o nelle prigioni libiche.
Eppure dei morti non si parla mai, e si continua con la narrazione violenta del migrante pericoloso da respingere.

Quando uno dei ragazzi presenti in Senato, dopo aver ascoltato questo racconto così terribile mi ha chiesto perché fosse così difficile, per chi ha responsabilità di governo, trovare una soluzione al fenomeno migratorio, non ho potuto non rispondergli che a monte c’è una profonda mancanza di coraggio.

Il coraggio di smettere di usare gli immigrati come un pretesto per ottenere consenso, e quello di ammettere che l’immigrazione, se governata, può diventare una grande risorsa per il nostro Paese.

Prima di salutarmi, Ibrahima ha voluto regalarmi un’immagine di Ahmadou Bamba, chiamato il “Gandhi” del Senegal perché sosteneva che la vittoria più grande per un popolo fosse quella di combattere per la pace senza armi. Per ricordare a tutti noi che non c’è guerra che possa giovare ad un popolo, e che tutte le guerre portano morte e distruzione.

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